In un momento storico nel quale l’immagine della Grecia è banalmente associata alla crisi economica ed al baratro finanziario dell’Unione Europea, interessata semplicemente e cinicamente a questioni monetaristiche e di pareggio di bilancio, fa molto piacere riscoprire come luoghi, personaggi e tematiche che appartengono alla culla della civiltà occidentale e che sono paradigmi culturali della civiltà greca, si affermino nuovamente attraverso il teatro, per suggerire altri sguardi ed altre prospettive ai cittadini/spettatori europei che si aggirano nei meandri dell’ultima edizione del Napoli Teatro Festival Italia. Va dunque dato atto a Piepaolo Sepe, il regista, e Cristiana Donadio, l’interprete principale, di avere proposto nella splendida cornice teatrale degli scavi archeologici di Pausilypon la messa in scena de “La Casa Morta”, opera tratta dall’omonimo poema degli anni ’60 del poeta comunista Yiannis Ritsos. A loro va il merito di avere dato voce teatrale ad un luogo di estrema liricità poetica e di avere affrontato la tematica della memoria, dei fantasmi del passato e del senso di comunità che deve sopravvivere alle difficoltà più dolorose della nostra società.
Tuttavia, nonostante le suggestioni sin qui elencate e la buona prova della Donadio, la performance teatrale sulla scena non sembra andare oltre queste buone intenzioni e lo sforzo degli attori. La scena sembra bloccata, come se la crisi economica della Grecia attuale avesse svuotato la forza della poesia di Ritsos. Una sedia al centro del palco a rappresentare uno spazio vuoto che, purtroppo, resta vuoto. Una casa morta che davvero non spalanca i suoi incubi peggiori. Un mantello rosso che emerge all’inizio dello spettacolo, ma che non riesce a sporcare la coscienza degli spettatori con i suoi grumi di sangue, non riesce a diventare un tappeto su quale tutti dovremmo essere in qualche modo costretti a camminare. Bloccato nella drammaturgia, ingessato nella spinta emotiva, lo spettacolo si dimostra anche troppo didattico nel rapporto tra le parole di una sorella e la danza dell’altra, come tra i monologhi e la parte musicale della rappresentazione. Tra gli applausi senza entusiasmo del finale, è sventolata infine una bandiera della Grecia: dritta, linda, e pulita, ma anche simbolo di una tragedia che non riesce a scatenarsi ed a gettarci su quel tappeto rosso, appena accennato, col quale Clitemnestra accoglieva Agamennone per il suo ritorno a casa. Per trasformare quella casa in un inferno, e quell’inferno in una terribile tragedia.
Teatro